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Animali per studiare la scabbia
Pubblicata il 5/3/2012
La scabbia è una malattia cutanea infettiva causata da un acaro, il Sarcoptes scabiei. La scabbia umana è molto diffusa nelle regioni poco sviluppate del mondo e, negli ultimi anni, tende a ricomparire anche nelle nazioni sviluppate. Gli acari del genere Sarcoptes possono infestare circa 40 differenti mammiferi tra cui cani, maiali, volpi e vombati (mammiferi marsupiali tipici dell'Australia).
Lo studio della scabbia è difficile: gli acari non sopravvivono senza un organismo ospite per più di 24-48 ore e non esistono metodi per propagarli in vitro. E' difficile anche raccoglierne in grande quantità: ne bastano meno di 20 per infestare un essere umano. I tentativi fatti per propagare gli acari su topi immunosoppressi non hanno avuto successo mentre esiste solo un altro modello animale nel mondo, acari di cane mantenuti su conigli in un laboratorio americano.
Un gruppo di ricercatori australiani ha cercato in natura un altro animale modello da utilizzare per lo studio della scabbia e lo ha individuato nel maiale. Il maiale infestato dalla scabbia presenta infatti modificazioni epidermiche, morfologiche ed immunologiche simili agli esseri umani. I risultati dello studio sono descritti in un articolo pubblicato su PLOS Neglected tropical Diseases. Gli autori sono riusciti ad ottenere una infestazione sperimentale di lunga durata (5 anni) di acari su 10 coorti indipendenti di maiali immunosoppressi (in tutto 32 animali).
In questo modo è stato possibile avere a disposizione un gran numero di acari per studi di espressione genica, sviluppo di nuove tecniche per misurare la sensibilità ai farmaci, sequenziamento del genoma degli acari della scabbia e localizzazione istologica di molecole coinvolte nell'evasione delle difese dell'ospite (1).
In due studi successivi lo stesso gruppo ha utilizzato il modello sperimentale sviluppato per studiare l'attività acaricida di composti a base di eugenolo (estratto dai chiodi di garofano) e del fluorazone, un inibitore della crescita degli acari (2,3).
A cura della Redazione scientifica.